domenica 12 giugno 2016

Et in Arcadia ego - sesto canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

nel santuario del sonno,
il canto e la pietra solenne patto istituirono
Leonardo Pisano[1] m’apparve in sogno.

Colui che immagina, al tempo non cede.

Altro non è la spirale che 'l Mondo,
sguardo che se stesso vedendo vede.

Giovinezza è un evento atemporale,
sfugge all’incarnato che ne le rughe
del futuro incerte decade e tace.

Più che ‘l tempo, il sole invecchia; riparo
dato non è dai suoi raggi che l’ombra
di un lenzuolo il cui incarnato l'antica
neve dell’agapanto cortese emula
e custodisce il segreto dei baci.

E con melòdi[2] di dorica cetra
accennati,[3] il vulgo tralascio e fuggo:
ben ascolto e vedo, che fra le pieghe[4]
degl'inni miei, nessun dono più santo
che ‘l piacer d’etternar colei che io canto;
dunque, senz’altri indugi, ne le lande
entriam ove nessun tempo s’aggiunge,
al termine di quelle questi morti.[5]

Come nel verziere dal violeo manto
la lenta Luna – se il ciel siderale
tace – adora il silenzio, sua parola,
sente l’illusione d’intorno e il cembalo
celeste adorna e la valle del mondo
pace trova; dalla stanchezza l’estro
convesso a le note sospira i sogni;
ma se in un punto una favilla effimera
di sole il tempo le rimembra, retro
d’improvviso nell'Assenza si cela;
con tal cortesia i canti si distillano
– simile al bacio su rosee caviglie[6]
nel flebile timpano e in sogni fluiscono.

Eterna per la propria allegria brilla
l'acqua del dolce ruscelletto e lieto;
causa di sé, a sé ragione, in sé metro
d’una impalpabile forma; dissetasi
ivi la beltà di Cinzia[7] che l’ultima
propria emanazione traduce.[8] Lapidi
un cimitero non ha tante quante
rose il suolo ove sono sorvolati,
quasi volavan gli stivali al sasso
ringhianti del pericolo preanuncio,
non conoscono la disperazione,
il declino, in quanto a te consegnati:
la dannazione e l’oblio seminando
ché ti recan lontana;[9] sul dorato
pallido velo un petalo si arena,
è nobile men del tuo bianco piede;
iris discendono violei dagli occhi,
che a questi, quelli, giovinezza insegnano;
corolle d'intorno l'abisso èmulano
del tuo iride: dal viola la parola
all'azzurro in sensazioni frantumasi.

Quando dei giovani fanciulli videro
la Sibilla[10] sola con l'invecchiare
suo senza alcun compimento, si chiesero:
«a che tante canoscenze?», e curiosi
le dimandarono: «tu che comprendi
tutto, in egual modo il sole e le tenebre
e la fine ed il principio degli enti,
che cosa desideri maggiormente?»
e lei, con sospiro lieve: «desidero,
fra tutte le cose, solo il perire»;
non par che una rosea farfalla invecchi,
pur aduna nel molle grembo il greve
peso d'ogni singolo attimo perso:
stirpe penosa ed effimera l'uomo,
piange la tomba, non il puro petalo
de la rosea antica Dea che vien meno;[11]
la dolcezza ad Augìa trova calore
materno come giovinezza a Leda,
ma qual luogo accogliere può tal cembalo
che effluvia un mondo sanza loco dato:
uno scorrere del tempo ne' singoli
ricordi non v'è. Di raso le calze
con venatura dorata flessuose
navigano sul pallore in cui sognano
cupidi molti sdegnosi al pudore;
il tuo nome è celato retro i petali
e l'ombretto intriso di malvarosa
l'odore de la rosea beltà memora,
e 'l pallore lo asseconda; le spalle
alzi leggiadramente qual sbadiglio,
quando il ciglio dolcemente declina,
segno e indizio del termine del reale,
per sempre 'l suo fuggir a un'idea dando,
ch’al desio il pensare è pura menzogna.

Seduta su la porpora ostinata[12]
di un divanetto, seguono le chiome
il metro del peplo; l’ombretto lieve
simile a un violureo petalo; neve
è l’incarnato e il tacito crepuscolo
emula il colorito del tuo viso;
silenziosa in un angolo col tempo
come un oggetto affidato a la polvere,
tu, che conosci più sogni che cose,
mira l’ebano come dolcemente
accoglie il mantello similimente
come questi la gravità traduce;
ed eccoti che accogli questo Libro,
lo sfogli come lirica di un sogno...
lievi le tende qual sbadiglio: torna
al violino e con l’aureo clavicembalo[13]
regno di Pindaro ti mostrerò,
Imperatrice, che non solo eterno
il desio è, ma più maggio che non v’è
eternità senza sogno; odi eterno
Fabbro del canto, guida ‘l nostro vanto.
Non v’è patto[14] se ‘l duolo non si memora:
dopo millenni è forse di Orfeo[15] privo
delle ceneri il petto dell’amata
Ninfa? Ai confini del mondo il cantore
solitario piange perennemente;
discendendo sulla funerea terra
lagrime grevi[16] come l’orizzonte
che morte conosce esclusivamente;
l'Averno volle. Di lei l'ombra vana
istessa indica delusione: i diavoli
ne han pietà, sicché brancolar le è dato
fra i monti lividi orridi degl’inferi.
Narrasi che quando morì la tenne
stretta al petto Orfeo disperato; vennero
i secoli e lei si trasformò in polvere;
le lacrime di lui, che il divenire
fin l’ultimo istante accompagneranno,
la metamorfosi più presta resero.
Zeus padre, che dall’alto delle folgori
mira la desolazione di questo
picciol globo dal pensiero conchiuso,
sentenziò che in esso più alcun mortale
felice sarebbe stato; e gli sguardi
degli uomini si conversero ai sogni.
Nere lacrime hanno i foschi allattato
fiumi infernali: tanto ella fu bella,
e tanto ora il pianto le ha sfigurato
pur il cinereo perduto dell’animo.
In questo luogo, né luce né voce
per la speranza il malefico rombo
dei ringhi infernali accoglie o sopporta.
In questo luogo, sconsolata tomba,
né luce né per la speranza un luogo:
vi sono solo lacrime di adesso.

All'oblio tutto cede, ne la notte
traducesi tutto, similemente
così un ratto cane infernale (forze
intraducibili) volge la mente
carogna ovunque, come tale tutto
declinasi infrenabile presente
flusso; ma 'l mio sogno si è ribellato,
perciò, quando le alte stelle, del proprio
lume pigre, cadranno in un solare
sonno, mai per niuna ragione svegliami:
che li occhi miei non traducano 'l sole.[17]
L'ambrosia dei tuoi sacri crini, assenzio
per li Dei, più vereconda del pianto
d'Orfeo che fuso a la polvere è padre
del primo uomo, van dolcezza dicendo
all'aura e amore; li occhi, belli, splendono,
si ravvivan a sé di proprio lume,
van traducendo un delicato sogno;
ma quando, orribil certezza, ritorna
l'oscurità del sole, che dilania
il nostro sogno, seppellisci li occhi.
Sfigurasi il pensier quando riposi:
nulla di più bel se le ciglia serri;
va posando a sé le braccia la morte
penandosi che pur te sfiorerà:
spirano la ragione del perché,
questi occhi, dolce detto chiuse ‘l viso;
ardo, questa fedeltà, in questo tempio,
emulare, come l’ombra la notte.
L’anemone imiti nel venir meno,[18]
de l’amaranto accenni la passione,[19]
di regalità l’aquilegia èmuli,[20]
de l’acanto illustri il proprio valore;[21]
ridenti margherite tutte intorno,[22]
cede il fiordaliso al molce biancore,
il glicine attende di frequentarti
e il giacinto a quest’altro vi si unisce.
Quasi l'Eterno, occhi lucenti, i nostri
sguardi (per sé è ragione di sé di essere),
poiché per poco hanno sostanza eterna:
la fedeltà, fra loro, riconoscono.
Labbra di fuoco nella notte, il tempo
è così nell'Eterno ardente simile,
fugge da queste labbra la memoria;
non si discioglie la fiamma a le tenebre
in tal maniera l'eternità predica
il tempo e il divenire non si annulla:[23]
la terra è luce al ciel come l'Eterno
nell'universo a forma si autopredica
di vivo bagliore, indicando l’orma.
Pallida solitaria rupe, vigili
leopardi d’intorno, splende e ivi scende
il miele làtice snello; ivi, sacro
lavacro, si cede Mèlis[24] di molce
educata e di soavità. Lei ascolti!
Non il tempo, non il mondo, non altro.
Antico nome l’appella Melitta,
pur ben altro è ‘l suo ver suono, danzante
il clivo che, per l’immago, risale.[25]
Spalanca le vele l’aquila e bieco
sguardo assilla chi, per l’umana specie,
la beltà oblïa; torbida pupilla
giace nel lor fosco pensare. Cacciali!
Caccia gli ostrogoti[26] da questo altare.
Immago e suono, l’uno, l’altro o entrambi,
non altro: “poesia concetta” il sol nome
irrisione. Pound[27] a Venetia, martire
del mondo lascivo – girone anonimo
d’intorno –; essere puro e metafisico
che su le gondole vagava, e i popoli
de la terra univa sotto ‘l dominio
del Verbo; tempi e spazi un’unica epoca
per il talento del fuoco: una sola
estensione, che è ‘l tempo; un solo tempo,
che è ‘l presente. Ascolta i versi non sparsi.
Dal pagan pensiero sorge a spirale
il denso bronzeo, tòrta su se stessa
la colonna, così la veste torta
forma a sé elegge, spirale figura,
forma che scenderò nel vaneggiare;
pur forma pietrosa e rossa, diversa,
eletta (al tempo nemica), d’eccelse
colonne, custodisce il nostro amore.
Il tempio più sacro evoco, non bronzeo:
dove riposa la pietra,[28] alte lame
di colonne si innalzano e lo sguardo
regolano, discende l’ombra e il rosso
sabbioso memora labbra infuocate;
l’Eterno siede fra pietre di Petra.

[1]Questo componimento è un’ode alla successione di Fibonacci: 1, 1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89 paralleli al numero dei versi di ogni singola sezione.
[2]Dante, Paradiso, XXIV. v. 114: «Nella melode che lassù si canta.»
[3]F. Nietzsche, La nascita della tragedia: «La musica di Apollo era architettura dorica in suoni, ma in suoni solo accennati, quali sono propri della cetra».
[4]Forse si riprende il tema delle lenzuola. Ndc
[5]L’opera, appunto, si intitola La Morte del Tempo. Ndc
[6]Canto IV, 2: «ci slega come fra rosee caviglie/e labbra vermiglie che lerafforza». Ndc
[7]Qui Venere simboleggia la natura. Ndc
[8]La natura che poi canterò, oltre l’Alfeo, sarà ben diversa.
[9]È presente un forte contrasto: da un lato dove gli stivali sono “sorvolati” v’è una moltitudine di fiori, dall’altro portando la donna in altri luoghi, seminano disperazione. Ndc
[10]Petronius (Satyricon, 48): «Nam Sibyllam quidem Cumis ego ipse oculis meis vidi in ampulla pendere, et cum illi pueri dicerent: Σιβυλλα τι θελεις; respondebat illa: αποθανειν θελω”».
[11]Teognide, Silloge, trad.it. Giuseppe Fraccaroli: «Gli uomini sono stolti e storditi che piangono i morti/E non il fior di gioventù perduto».
[12]Da un colore intenso. Ndc
[13]L’eleganza del settecento emulo.
[14]Didascalia del Canto VI: «Nel santuario del sonno,/il canto e la pietra solenne patto istituirono».
[15]Il settimo canto è dedicato ad Orfeo. Ndc
[16]Lagrime invece di lacrime per armonizzarsi con grevi.
[17]Canto V, 3: « […]cerca/dal sole protezione; lo delusero». Ndc
[18]Lo si ricordi come il fior del vento (ἄνεμος).
[19]Essendo simbolo dei sentimenti perpetui presso gli antichi.
[20]Regalità anche nel suono: aquila, aquilegia.
[21]Nell’uso corrente è elemento architettonico di ornamento.
[22]La purezza di un riso: la margherita significa spontaneità e, dunque, giòlito di vita.
[23]Pur se da sempre vengono posti come in contrasto.
[24]Cfr. Columella, De Arboribus; suddetta Ninfa, Melissa, scoprì il modo di cogliere il miele.
[25]Medesimo clivo del Foscolo che coincide con l’invecchiamento; cfr. U. Foscolo, Le Grazie, ed. F.S. Orlandini, vv. 173-174. Ndc
[26]M. Proust (A la recherche de temps perdu, A l'ombre des jeunes filles en fleurs): «Comment s'appelle-t-il, cet ostrogoth-là?», Albertine che dimanda di Bloch al Narratore.
[27]Una delle quattro guide, viene citata per nome: nel secondo canto Pound si definisce fabbroSono il Fabbro»). Ndc
[28]πέτρα.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. Le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

Nessun commento:

Posta un commento