domenica 12 giugno 2016

Overture - secondo canto dell'"Art Nouveau" di Giancarlo Petrella

Il secondo canto costituisce la protasi del poema. Vengono accennati i temi ed è presente l’invocazione ai numi, che accenneranno i modi di cantare, fonti medesime del canto.
Il poema è costantemente pervaso dalla numerologia, si ha prevalentemente il quattro e il sette, che ricorrono anche nei loro multipli.
Un primo sogno mi prese
e quattro Guide m’apparvero
e
allor lor dissero, e io cantài addietro.
« Nacqui a Tuscolo,[1] a Sabina passai,
di poi andai ne la città del Senato;
tribuno, pretore, consol, censore
divenni; condannai ‘l lusso sfrenato,[2]
di più l’union carnale animalesca,
ove il valor di persona si perde,[3]
ché amor non chiama bolgia di sudore. »

« Virtuosismo di forma ed eleganza
di sussistenza ti concedo; nacqui,[4]
prima che si posassero i Borbone,
qual gigli d’oro adagiati sul mare,[5]
a Napoli; i Borghese resi nobili
al mondo,[6] e s’arte ho diversa, ben puoi
veder che scalpello non odia verso. »[7]

« Bello fui e venerabile, “lo Stato”
di Me si disse “sono io”; tutti, conti,
marchesi, duchi e principi ammaliai
a mio talento; enorme feci Reggia
costituire e lontana l’acqua, invitta,[8]
concessi e moltitudini di fonti
e mille.[9] Del tuo canto sarò Duca. »

« Sono il Fabbro che “per l’ozio e l’amore”
cantò “cantiamo: altro non ha valore”,[10]
e “solo i sogni esistono”;[11] con tali
meridiane stendi il Poema; il pudore,
la maestrïa, la nobiltà e la musica
non obliar. »[12] Così alquanto ragionarono,
co' riserbo, e pur non velato orgoglio.[13]

Quest'allegretto ruscello dev’essere
l’Alfëo,[14] ché così lieto il mirarlo,
perenne custode ad un canto novo,
sìmile Amìcle, Augïa e Leda[15] speme
dolcezza e giovinezza custodiscono;
vagano melodiosi metri e il canto
si mesce col sogno tutto d’intorno.

Allor che i fiori immaginano i baci
del sole, che nel grembo il desiderio
li traduce a’ petali – erra e vaneggia
il Fanciullo pel sùfolo[16] nell’Orto[17] –,
la melodica ombra guidi col passo;
questo metro ardo emulare col canto:
primo, secondo… immaginato invano.

Puniceo cielo di settembre, all’ora
solare, Mensola,[18] ninfa dell’Arno,
fugge, come il desiderio al pensiero,
fra l’ombre mirtee, una ciocca sovviene
di pel di un fäuno che la desidera
più d’una làtice fonte se el fosse
assetato; lo schiva, cade e dorme.[19]

Le farfalle, come delfini al cielo,
volan;[20] le api ronzano e fan di sé
venusto a’ fiori concento; l’acanto,
l’amaranto,[21] l’aquilegia,[22] l’anèmone,[23]
traducono i lor risvegli nel metro:
leggiadrïa, ardore, soavità, esilio;
pur un canto più venerabil s’èleva:

« Sull'erba giaci, Illusione, a le mani
de l'amante curiose cedi, volano
su lusingati intrecci e sconosciuti;
e quando l'ardore dell'unghia gelida
sfiora 'l capezzolo, li occhi viventi
di puro lume splendon come 'l gelo
del diamante; ascende al ciel desiderio.[24]

Il tempo che resta sono gli incerti
pensieri che ci determineranno
a non essere;[25] il pensare il passato
inaridirà; non consolazione
alcuna al perpetuo considerare
lo sconfinato universo dei numeri;
dannoso e inutile contare il tutto.

Verrà de le rose il tempo: nessuno,
non temere, torna dall’Ade; li occhi
neppur domineranno questa notte,
non col turchese de l'ombretto flebile
che si invischia al pallore; non i voti
eterni dei baci recanti lacrime
dalle abitudini disidratate.

Nell’antica villa retta dai Rasna,[26]
depredata dalla gallica stirpe,
eternata da Leonardo, in un piccolo
parco il nostro sogno – ricordi? – vaga
fra ‘l desio e l’amor secondi; quest’eco,
di queste memorie, illudono d’essere,
custodi di ere oramai inaccessibili. »

Da la campana lotèa antica il bello
de’ capitelli corinzi deriva,[27]
chiudendo la propria corona all’acqua,
alzandosi col sospirar del sole;[28]
Atum[29] Creatore ne l’Oceano antico
si rigenera simile, fior schiuso
libero, al desio che a se stesso tende.

A la mente rapido fugge il sogno,
questi parole e falso non conosce
o certezze e il metro al pensiero regola;
simile la tua veste segna le ombre
che eccitano i petali de le rose,
su loro trascorre qual raggio ed esse,
più che ‘l sole, fisse e attente la seguono.

Come un fascio di luce si percuote
nell’acqua da goccia a goccia, si flette
simili a fiocchi di neve che al vento
nel grembo custodiscono il segreto
de la fine, così l’ïo s’illumina,
spento e acceso ad ogni singola immagine,
più ratto declina, s’altera e medita.

Stretta la bilancia i mercanti tengono
d’Osaka;[30] non sprofonda il loro sguardo
ne la gola del desiderio. Al vivere
inutile il conto; né de la ratio
lo sguardo abbisogna, ma sol di sé
come la gravità se stessa accolse,
prima che ‘l tempo ed i bagliori fossero.

[1]Marco Porcio Catone. Ndc
[2]Viene sintetizzata la vita di Catone. Ndc
[3]In un atto sensuale animalesco si perde l’individualità; è interessante notare che è Catone il Censore a proferire queste parole. Ndc
[4]Gian Lorenzo Bernini. Ndc
[5]Il simbolo dei Borbone consiste nel giglio, con uno sfondo marino. Ndc
[6]Villa Borghese sarà materia del mio canto.
[7]Tema ricorrente nel testo è la complementarità delle arti. Ndc
[8]Sintassi a emulazione di quella neoclassica. Ndc
[9]Tra le cose che più colpiscono di Versailles vi sono le fontane; qui l’autore richiama la difficoltà di portare tutta l’acqua che alimenta le tante fontane, in un luogo non vicino a fonti acquifere; nel testo è detto concede, nel significato peculiare di un re che concede ad esempio la grazia. Ndc
[10]E. PoundAn immorality, vv. 1-2: «Sing we for love and idleness/Naught else is worth the having».
[11]E. PoundSong, v. 5: «That dreams alone can truly be».
[12]Ognuna delle quattro figure è simbolo di uno di questi elementi. Ndc
[13]I discorsi delle quattro ombre sono caratterizzati da un’eleganza cerimoniale. Ndc
[14]Fiume del Peloponneso. Ndc
[15]U. FoscoloLe Grazie, ed. G. Chiarini, vv. 191-195: «Qui d'Augìa 'l pelaghetto, inviolato/Al pescator, da che di mirti ombrato./Era lavacro al bel corpo di Leda/E della sua figlia divina. E Amicle/Terra di fiori non bastava ai serti».
[16]Zufolo, strumento musicale a fiato. Ndc
[17]Orti Oricellari. Ndc
[18]BoccaccioNinfale fiesolano, I, v. 228: «“Mensola, andianne”; e quella, su levante».
[19]Il tramonto, l’erotismo velato e l’atto del prender sonno sono elementi constanti del testo. Ndc
[20]Le farfalle evocano l’eleganza dei delfini. Ndc
[21]Il colore indica arditezza, il nome costanza: αμαραντος.

[22]La soavità deriva dalla profonda tristezza: si confronti col Ritratto di principessa estense di Pisanello.
[23]Fiori del vento: ἄνεμος.
[24]Prima era il canto che si elevava, ora è il desiderio. Ndc
[25]R. Descartes, Méditations, AT VII: «Se io smettessi di pensare, smetterei nello stesso tempo di essere o di esistere».

[26]Gli Etruschi, secondo alcune fonti, potrebbero aver conquistato Milano, che fu saccheggiata al tempo della discesa gallica; città in cui operò Leonardo da Vinci. Ndc
[27]Dal capitello egiziano a campana deriva quello corinzio; v. Fletcher.
[28]Si fa qui riferimento al loto seshen, sacro per gli Egizi, simbolo di rinascita, capace di chiudersi nell’acqua a sera e di aprirsi all’alba, orientandosi verso il sole.
[29]Divinità dell’Antico Egitto. Ndc
[30]Y. TsunetomoHagakure kikigaki, I, 1: «Questa è la logica dei mercanti gonfi d'orgoglio che tiranneggiano Osaka ed è solo un calcolo fallace». È odioso che la logica del dare e dell'avere si insinui nello spirito.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

nb. L'introduzione e le note segnalate con la dicitura Ndc sono a cura di Nicoletta Pia Rinaldi - Proprietà letteraria riservata©

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