martedì 7 giugno 2016

Omaggio di sonetto - dal terzo canto dell'"Art Nouveau"; di Giancarlo Petrella

I’ son Boiardo, che treze d’or posi
nell’immago di quella che più amài
cotanto fui giocondo[1] che ascosi
versi non scrissi, beati semmài.

Spontanei dolci pensier festosi
mossi a innamorar pur anche i fati;
nei sogni fior raccolsi e li posi
nei versi e versi e sogni sfumài.

Limpidi penser, quali augeleti,
volan senza pesi, come ‘l foco[2]
in un’alma amorosa; per lei
posi viole nei canti, nel bosco,
nella corte dei fiori, nei lieti
cuori per cui amor è gioia, non duolo.

[1]L’impopolarità del Boiardo, soprattutto del Boiardo lirico, da parte di quei grandi “lettori” che conoscono a menadito Petrarca e Leopardi (come se solo a questi due autori si riducesse la vastissima letteratura italiana), è dettata dalla particolarità che lui fu un poeta felice: quando cantò tristezze, si sente una patina di gioia nella vita; per questo, quando soffrì veramente, quando vide la fine probabile della sua epoca, con la discesa di Carlo VIII di Francia, smise di scrivere.


di Giancarlo Petrella,
tratto da "La Morte del Tempo - Art Nouveau”
Proprietà letteraria riservata©

Queste parole, pacate e piane da chi immaginato sento appresso: nel mentre un sogno appare e un altro vassene, lasciando un non so che d’amoroso e il ricordo certo che diviene sensazione. Mi parlò con un linguaggio diverso, cortese e ferrarese insieme, in decasillabi.

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